Ottobre 1948
1968 – GIORNATA del PENSIONATO
Domenica 15 dicembre u. s. lo stabilimento di Varedo ha voluto festeggiare i suoi pensionati con un programma così articolato: S. Messa dedicata al ricordo dei compagni di lavoro defunti, pranzo collettivo predisposto nel salone della mensa, premiazione di una cinquantina di pensionati e infine distribuzione del tradizionale omaggio natalizio offerto dalla Presidenza della Società.
La partecipazione dei festeggiati alla loro giornata è stata veramente totalitaria. Un chiaro esempio del richiamo esercitato dalla lodevole e simpatica manifestazione che per la prima volta si svolgeva nell’ambito dello stabilimento, nell’ambiente dove gli anziani lavoratori hanno trascorso una buona parte della loro vita e dove venivano riaccolti con estrema simpatia e compiacimento, lo forniva uno degli interessati, del quale è superfluo fare il nome, che nel timore di non poter intervenire causa le cattive condizioni di salute, si arrovellò e protestò tutta la settimana precedente, sino ad indurre il figlio ad accompagnarlo ugualmente e a rimanervi lui stesso per assisterlo in caso di bisogno: il che non fu fortunatamente necessario.
Il sacro rito officiato dal Parroco di Varedo Canonico Don Luigi Meregalli, veniva celebrato nel primo settore del grande salone superiore della mensa, adeguatamente predisposto con ampi drappeggi blu, bordati in giallo, alle pareti e sulla pedana dell’altare. Sullo sfondo, lo stemma dell’Associazione Veterani. Coi pensionati, oltre un centinaio, erano presenti l’Ing. Arturo Riva Direttore dello stabilimento, il Dott. Ugo Grosso vice direttore, i Sig.ri rag. Corrado Rocchietti, Gaspare Parvis, Dott. Aldo Miranda, numerosi membri della Commissione Interna ed alcuni componenti il Consiglio Direttivo della sezione locale dell’Associazione Veterani; ad essi si erano uniti il Vice Direttore Generale Ing. Bruni in rappresentanza della Direzione Generale, l’Avv. Giovanni Zanette Presidente dell’Associazione Veterani, l’inviato de «Il Nostro Lavoro». Il Comune di Varedo volle tributare un particolare omaggio ai suoi benemeriti concittadini con l’intervento del Sindaco in persona, Cav. Luigi Gorla, e del Gonfalone della città affidato ad una rappresentanza del locale Corpo dei Vigili Urbani, che si collocavano alla destra dell’altare, mentre alla sinistra veniva posto il labaro della sezione di Varedo dell’Associazione Veterani, scortato da tre sorveglianti. L’autorità militare era pure presente nella persona del Maresciallo Antonio Mura, comandante della stazione dei Carabinieri di Cesano Maderno.
Non occorse che lo spostamento di un tendaggio per permettere il passaggio dal sacro al profano, dall’improvvisata ma decorosa cappella al salone conviviale, dove tre lunghe tavolate longitudinali impeccabilmente imbandite si protendevano verso il tavolo destinato alle personalità presenti, alle quali si aggiunse la pensionata Signorina Virginia Gaslini, decana di diritto per la quarantacinquennale attività prestata nello stabilimento e per aver svolto per tempo immemorabile (e svolge tuttora), le funzioni di Segretaria dei Veterani di Varedo.
La pausa precedente l’inizio del pranzo permise il ritrovarsi tra vecchi compagni ora divisi dal fatto di risiedere in località differenti, offrì l’occasione per lo scambio di saluti, per il riannodarsi degli antichi rapporti, per il rifiorire improvviso di amicizie quasi dimenticate, per rievocare episodi del passato vissuti congiuntamente. Sentimmo affiorare non poche nostalgie dai discorsi che udivamo nei crocchi fra i quali ci aggiravamo. Belotti Paolo, sempre gioviale e sorridente malgrado gli acciacchi che lo travagliano, ci espresse la sua soddisfazione e quella degli amici che lo attorniavano per l’invito ricevuto. Si dichiarò orgoglioso di aver potuto rientrare in stabilimento, dicendosi pronto a riprendere il suo posto se si rendesse necessario il suo ritorno, ricordando con tanta nostalgia i soggiorni al Mottarone ed i benefici che ne traeva la sua salute.
Lo salutammo per stringere la mano al buon Cavellini Giuseppe, in pensione da pochi mesi ma nostalgico del suo la oro quant’altri mai. Alla Snia, al suo stabilimento di Varedo, ha lasciato il cuore, ed ora che non ne fa più parte, è grato alle occasioni che gli si presentano per riprendere contatto, almeno per qualche ora, con l’ambiente che gli fu caro per un lungo periodo della sua vita. Non nasconde il vivo desiderio, il bisogno di risentirsi, di ritrovarsi coi vecchi amici di un tempo, magari semplicemente attraverso le manifestazioni bocciofile cui partecipava da cultore appassionato ed esperto.
Rivediamo con tanto piacere Bogani Enrico ed il suo indivisibile «partner» Colzani Luigi. Entrambi muratori, molto apprezzati per la serietà e capacità professionale che li distingueva, sono in pensione da qualche tempo ma sono incapaci di restare in ozio. Bogani, alieno dal gioco e dagli ozi dell’osteria, preferisce dedicarsi ai piccoli lavoretti occasionali che gli vengono richiesti; Colzani, appassionato dello scopone, dedica una piccola parte del suo tempo libero ad appagare questo suo «hobby». Le saltuari occupazioni contribuiscono a tener alto il loro morale ed a conservarli freschi e vegeti. Sono estremamente contenti per l’odierna manifestazione che ha loro permesso di rientrare con tutti gli onori da quel portone che attraversarono ogni giorno per tanti anni, ad ore fisse, per venire al loro lavoro.
E’ un fatto ormai universalmente accettato che a tavola non si invecchia e se ne ebbe una riconferma da quei commensali piuttosto maturi d’età che affrontavano con baldanza giovanile e senza defezioni le portate di un menù veramente di classe, completo in ogni particolare , perfetto come qualità e varietà dagli antipasti assortiti ai cappelletti casalinghi al sugo od in brodo, dal brasato di vitello alla «supreme» di pollo con contorni vari, dai formaggi a scelta alla frutta, alla torta «Saint Honorè », al caffè. Fu loro gradito rendere omaggio alla prelibatezza di un certo vino bianco delle colline coneglianesi, e di un delicato vino rosso della stessa provenienza. I toni delle voci, dapprima smorzati, aumentarono progressivamente, il salone risuonò di allegre risate sino a rendere veramente calorosa l’atmosfera nella quale il pranzo si andava svolgendo.
Anche il gruppo corale Snia, composto da una rappresentanza dei coristi di Varedo, Cesano e Magenta sotto la direzione del Maestro Gino Stegani, volle rendere omaggio ai festeggiati eseguendo fra continui applausi l’Inno dei Veterani, cui fecero seguito «La Val Sugana» e tutta una serie di canti popolari egregiamente interpretati e tutti accolti da grandi battimani e acclamazioni.
Invitato al tavolo d’onore per ricevere le felicitazioni dall’Ing. Bruni, dal Sindaco, dal Canonico e dalle altre personalità, il Maestro Stegani accedeva di buon grado alla richiesta di eseguire, così alla buona e senza le indispensabili partiture, un paio dei brani polifonici che ebbero tanto successo al concerto di Carpi. L’esecuzione fu una sorpresa per tutti gli ascoltatori e tra i complimenti calorosi ed i battimani a non finire scaturì anche una mezza idea, un mezzo suggerimento, sorto all’improvviso, di offrire ai cittadini varedesi l’occasione di ascoltare il Coro nella pienezza delle sue qualità interpretative folcloristiche e polifoniche.
Chiusa la parentesi musicale, l’attenzione dei commensali si faceva vivissima quando l’Avv. Zanette accennava a prendere la parola.
Egli rivolgeva a tutti i pensionati il fervido saluto dell’Associazione Veterani, prima che con maggiore autorità, altri lo rivolgesse a nome della Società. Poneva in risalto l’importanza dell’intervento del Sindaco e del Gonfalone della città nonché dell’autorità militare e religiosa, ringraziava l’Ing. Riva e i suoi collaboratori Rag. Rocchietti e Sig. Parvis per l’ottima organizzazione e la brillante riuscita della manifestazione. Dedicava un particolare e memore pensiero ai pensionati defunti accomunandoli nel ricordo alla grande indimenticabile figura di Marinotti. Illustrava quindi le ragioni che avevano fatto sorgere l’idea di celebrare una «Giornata del Pensionato» in tutti gli stabilimenti Snia, attraverso un ciclo che si concludeva nello stabilimento pilota con la manifestazione in corso.
L’Ing. Bruni, dopo aver ricordato i lontani inizi della sua attività alla Snia di Cesano, osserva che questo stabilimento di Varedo è diventato grande proprio quando vi lavoravano quelli che ora son qui come pensionati. Molti ricorderanno alcune delle date più importanti della vita dello stabilimento, come l’impianto della filatura raion, in continuo, l’impianto della lavorazione del lilion («chi avrebbe allora pensato che quei 20.000 chili mensili sarebbero diventati 1.500.000 chili/mese solo a Varedo? »), quello per la produzione dell’acido solforico e così via: egli continua dicendo che in questo stabilimento sono state montate le prime macchine per l’alcalinizzazione in continuo. «L’elenco sarebbe lunghissimo, ma sono tutti ricordi che voi avete vivi nella vostra memoria perché avete vissuto le incertezze delle prime prove, le modifiche che sono state necessarie per la messa a punto di questi nuovi procedimenti ed infine la riuscita finale. Questi ricordi vi danno diritto a sentirvi ancora legati alla Snia, vi danno diritto a conoscere quelli che sono gli attuali programmi e gli sviluppi futuri della nostra Società, ed io sono contento di potervene informare a nome del Presidente».
Dopo aver accennato all’assorbimento della B.P.D. ed al suo significato, dopo aver illustrato la fusione con la Cisa e la Saici, l’lng. Bruni chiarisce il valore dei nuovi impianti di produzione di fibre sintetiche in Sardegna e così continua: «La produzione del velicren a Cesano è notevolmente aumentata, e sarà ancora maggiore nel 1969, mentre sia a Varedo sia a Cesano sono aumentate e continueranno ad essere incrementate anche nel 1969 le produzioni del lilion. A Varedo è stata iniziata la produzione del filo continuo poliestere wistel, si sta ora montando una macchina che rappresenta una vera e propria rivoluzione in questo campo e che sarà avviata nel prossimo gennaio. Anche a Napoli è già in costruzione un grosso impianto per la produzione di filo poliestere. Ma ci sono altri programmi: un impianto di fiocco poliestere, un impianto di testurizzazione, un impianto di tessuti a maglia, un impianto di filati cucirini ecc. La Società è viva se cresce, se si espande nelle sue produzioni e nella sua attività». Dopo aver accennato agli sviluppi della Snia anche all’estero, egli aggiunge: «La nostra tecnica è così apprezzata che proprio in questi giorni il Presidente della Kanebo (la Società giapponese che ha comperato da noi l’impianto di nylon e di poliestere) parlando al nostro Presidente ha riconfermato che la loro produzione, grazie all’aiuto tecnico della Snia, è la migliore del Giappone e che la Kanebo ha intenzione di aumentare la propria produzione sempre valendosi di macchinario Snia».
L’Ing. Bruni invita i presenti a rivolgere un pensiero al Presidente Marinotti, «che tutti ricordiamo con amore e riconoscenza per quello che ha fatto per la Snia e per noi: e ricordiamo anche l’Ing. Pietro Crosti, il Dott. Perrone, l’lng. Cerutti, il Dott. Giacobone. Li ricordiamo perché hanno sofferto, è la parola giusta, nella loro fatica quotidiana le difficoltà dello stabilimento come tutti gli altri che qui hanno lavorato e non sono più con noi. Essi ci hanno lasciato un esempio e una tradizione di lavoro: auguriamoci che le nuove generazioni sappiano con lo stesso entusiasmo e con lo stesso spirito di sacrificio continuare ad amare la nostra fabbrica e la nostra Società perché soltanto così il lavoro può non essere solo fatica ma anche fonte di gioia ».
Il discorso, seguito con attenzione vivissima per le importanti informazioni e descrizioni via via illustrate, era accolto al termine da un subisso di acclamazioni.
Concludeva l’lng. Riva porgendo un doveroso ringraziamento al Sindaco ed al Parroco di Varedo per il loro gradito intervento ed un saluto affettuosissimo ai pensionati presenti. Esprimeva il proprio dispiacere vivissimo di non poter ancora rivedere al loro posto di lavoro i festeggiati e formulava l’augurio di ritrovarli tutti, per tanti anni ancora, in questo stesso salone.
Iniziava poi la premiazione col Sig. Regondi che chiamava i pensionati a ricevere il segno tangibile della gratitudine e del memore ricordo della nostra Società dalle mani dell’Ing. Bruni, dell’Ing. Riva e del Dott. Grosso. Le operazioni proseguivano rapidamente e nel congedarsi i festeggiamenti passavano anche a ritirare l’omaggio natalizio che la Presidenza della nostra Società ha loro destinato.
B.T.
Com’è detto in altra parte del giornale, pochissimi giorni dopo questo lietissimo incontro con i pensionati dello stabilimento, il Direttore Ing. Arturo Riva moriva stroncato da un malore fatale. Il «Nostro Lavoro» vuole esprimere qui il particolare profondo cordoglio dei Veterani, dei Pensionati e dei lavoratori tutti di Varedo.
PREMESSA
A Varedo c’era una grossa questione in ballo e i pareri erano discordi. C’era Gaslini Virgilia, , la segretaria, e poi Gaio Sentore e gli altri consiglieri Ferrario e Marelli, ed anche il vecchio Balzarotti che erano per il sì; ma c’erano parecchi altri che erano di parere contrario. E’ questi dicevano che s’arricchivano di fare una sbaglio grosso, per cui era bene pensarci su parecchio.
La questione era questa: è il caso che il Presidente dei Veterani di Varedo sia proprio il Dr. Perone che è il Direttore dello Stabilimento?
Perchè no? – dicevano quelli del si. – Anzi, dici niente avere per Presidente una persona così importante che una cosa la può decidere lui stesso, senza chiedere il permesso a nessuno?
Ma quelli del no scuptevano la testa; – Sarà bene da un lato – dicevano Rigamonti Domenico e Massari, Regondi e Picozzi Ambrogio e Galli e non so quanti altri; – ma se i Veterani vogliono qualcosa che il Direttore non va a genio, come si fase il Presidente dei Veterani è proprio lui,il Direttore? Noi siamo Veterani, è vero, ma siamo anche lavoratori; mai visto il Direttore pensarla in un modo e i lavoratori in un altro?
Anche questi erano argomenti seri, non c’è che dire; e così si parlava e si discuteva da un bel pezzo, ma non si trovava il modo di mettersi d’accordo perchè, alla fine, tutti restavano del proprio parere.
Quando io capitai a Varedo, il primo che incontrai f naturalmente Ferraio Daniele, che ora fa il fattorino per via di quella mano mutilata.
– Ciao – mi disse.
– Salute! – risposi – Come va qui da voi?
Non mi badò nemmeno.
– Secondo te – disse – è bene o no aver come Presidente della Sezione il nostro Direttore?
– Non ci vedo niente di male – risposi.
– Cavolo, altro che male! Io dico che è una fortuna: si deve fare una gita, poniamo, e ci
vogliono i soldi; si dice a lui, lui risponde di si come Presidente e tir fuori i quattrini come Direttore. Non c’è da andare a chiedere niente a nessuno.
– Mi pare che tu abbia ragione – dissi, convinto.
– Ragione un corno! – protestò Casati Fabio che intanto s’era avvicinato a noi con quel suo
naso schiacciato da baxeur. – E se i Veterani vogliono qualcosa che al Direttore non garba, come si fa?
– Diavolo! – dissi – Hai ragione anche tu.
Mi grattai la testa, perplesso; il problema si presentava piuttisto difficile da risolvere, eppure bisognava risolverlo in un modo o l’altro; era fin troppo chiaro che l’intera vita della Sezione ne risultava compromessa.
– Andiamo dal Sindaco – proposi infine; – vorrei sentire quel che ne pensa lui.
Sindaco Luigi, detto naturalmente “el Sindic”, non era il più anziano tra i Veterani perchè era del 1924 e parecchi erano venuti allo Stabilimento prima di lui;c’era Colombo Giulio e Balzarotti, venuti ancora prima del 1922, e poi Gaio Senatore detto “l’onorevole”, e Simonetta, e due dei tre fratelli Gaslini e lo stesso Ferrario Daniele e Romanò, e Marelli il consigliere, e Canzi e Prada Angelo che erano del 1922; e gli altri del 1923, cioè Vismara,Ercole, e quel Casati che parlava appunto con me in quel momento, e Abbiati, e Perego, e l’altro Gaslini, il Mario, e Pozzi Agostino,la segretaria e poi il Volpi Carlo.
Parecchi dunque che erano più anziani di lui di Snia,ma nessuno più anziano di lui per età, perchè contava già i suoi settanta suonati. Ecco perchè io avevo pensato a lui,; i vecchi, si sa specie se sono ancora in gamba, han sempre un buon consiglio da darti; e lui era in gamba sul serio, s continuava a fare il capo dell’officina che, specie a Varedo, non è un compito da poco.
Andammo dunque all’officina, in cerca di lui; e lo trovammo là, florido e grassottello, coi suoi capelli bianchi tagliati a spazzola irti sul cranio rotondo.
“El Sindic” rimase pensieroso quando gli esponemmo la questione pregandolo di dirci il suo parere; naturalmente non era uno di quelli che parlano prima ancora di aver pensato e in tal modo finiscono col dire più fesserie che parole; lui aveva l’abitudine di parlare solo dopo averci pensato ben bene.
Stette un poco in silenzio e lo sforzo del pensiero era visibile nella fronte aggrottata sormontata dal ciuffo dei capelli candidi; infine si decise a parlare.
– Una volta la cellulosa veniva dalla Svezia – disse.
– Che centra? – chiese Ferrario.
– Centra – affermò il Sindaco, con sicurezza;
– perchè dopo il 1938 cominciò a venire da Torviscosa.
– E allora? – chiese Ferrario.
– E allora la cellulosa di Torviscosa è diversa da quella svedese – disse Sindaco – perchè a
Torviscosa la fanno con le canne.
– E che importa? – fece Casati – Va benissimo lo stesso.
Sindaco lo guardò.
– Tu forse non ti ricordi, ed io invece mi ricordo che le prime partite andarono male, ed era
la prima volta che succedeva; il bagno di prima non andava più bene. Molti pensarono che quella cellulosa di canne era una porcheria.
– Frega tanto…… – borbottò Casati.
– Lasciate parlare Sindaco – dissi io; – sa quello che dice.
– Bene – disse Sindaco; – allora, che facemmo?
– Che facemmo? – chiesi.
– Provammo dei bagni un poco diversi – rispose -, fin che trovammo quello buono. Allora
tutti dissero che quella cellulosa era una cannonata.
– E così?
– Così non si può sapere se una cosa va bene o va male fin che non si è fatta la prova; anche
stavolta è la stessa cosa. Voglio dire che bisogna fare la prova.
Noi ci guardammo l’un l’altro.
Diavolo! – dissi – Mi pare che Sindaco abbia ragione.
Anche a me – disse Ferrario; – ma come si fa questa prova?
!El Sindic” si strinse nelle spalle, come a significare che questo non era affar suo, e si rimise al lavoro.
C’era una volta……….. quella sera nevicava, e i Veterani riuniti per una seduta straordinaria, prima di entrare, si scuotevano la neve di dosso e strofinavano energicamente le scarpe sulla soglia. Ma c’erano tutti, compreso le donne, perché era corsa la voce che ci sarebbe stato qualcosa di nuovo e tutti erano ansiosi di sapere.
Venne il dr. Perone Luigi e prese posto a capotavola nella qualità di Presidente: era di umore eccellente , tanto che aveva già battuto una manata sulle spalle dei Veterani più vicini dicendogli vecchio porco o vecchio idiota. Ciascuno esprime il suo affetto secondo un suo sistema personale, e se l’intenzione è buona non c’è niente da obiettare.
S’incominciò a parlare del più e del meno, e naturalmente della neve che aveva cominciato a cadere: dalla neve si passò a parlare dell’inverno, che si presentava assai rigido e brutto, ed il pensiero di tutti andò a quelli che, in quel brutto inverno non avrebbero avuto fuoco per riscaldarsi (purtroppo ce n’erano tanti)
Qui intervenne Marelli Luigi a dire della pena che gli facevano certi vicini di casa: lui, il padre, disoccupato: quattro figlioli ancora piccoli da nutrire. vestire e curare, la moglie sempre ammalata; tiravano avanti non si sa come, con la carità di qualche povero diavolo come loro. Ora poi, come Befana, era pure venuta la neve…………
Le parole del Marelli fecero volgere il pensiero di tutti verso i bambini, quei bambini cui la Befana avrebbe portato solo la neve: e siccome l’argomento dei bimbi è sempre irresistibilmente fecondo per quelli che s’avviano alla vecchiaia , saltò fuori improvvisamente la proposta di fare a quei poveretti una vera Befana, per fargli dimenticare almeno per un giorno il freddo e la fame. Si fece subito una colletta, e Mariani Pasquale andò in giro con un cappello per raccogliere le offerte: ma gli operai, si sa, non ne hanno troppi da buttar via, sicchè non si raccolsero che poche centinaia di lire: a guardare quel misero mucchietto di soldi e pensare a quella gente che non aveva nulla da mangiare né da scaldarsi veniva in cuore una grande tristezza .
Mariani contò e ricontò i soldi, poi scosse il capo:
> Che se ne fanno di questa roba? < disse > Qui bisognerebbe trovagli lavoro , altro che!
> Giusto < disse Locati Cornelia > Ma come? A questo punto si alzò Sindaco Luigi.
> Propongo di assumere il padre qui allo Stabilimento < disse.
Nell’improvviso silenzio il dr. Perone fece un sobbalzo, come se qualcuno gli avesse allungato una pedata su uno stinco.
> Come hai detto? < gli chiese.
> Ho detto che propongo di assumerlo qui < ripetè.
> Ma tu sei matto da legare!
> fece il dr Perone < non c’è nemmeno da parlarne.
> Chi l’ha detto? < disse Sindaco, tranquillo .
Si vedeva benissimo che le vene del collo gli si ingrossavano rapidamente.
> Come chi l’ha detto? L’ho detto io, ed io sono il Direttore!
> Chiedo scusa < rettificò > qui non c’è nessun Direttore: Lei qui è solo il Presidente dei Veterani.
> E allora?
> Allora Lei rappresenta i Veterani e basta: in Direzione fa il Direttore e qui fa il Presidente.
Il dr. Perone lo guardò a bocca aperta: la cosa gli appariva del tutto nuova, ma forse cominciava a destare il suo interesse.
> Avanti < disse.
> Benissimo < Sindaco si rivolse alla Gaslini Virginia > Vuol sentire chi vota per chiedere l’assunzione?
Si votò, e si fece lo spoglio delle schedine: erano in quarantuno , compreso il dr. Perone; risultarono quarantuno si.
Tutti gli occhi si volsero verso il Presidente, con aria interrogativa ; ma lui non dimostrava alcun imbarazzo:
> Qui sono solo il Presidente < disse e gli strizzo l’occhio .
I Veterani si guardavano l’un l’altro e si toccavano con il gomito: la seduta cominciava a diventare proprio interessante.
> C’è un’altra cosa < disse Sindaco:
> bisogna stabilire chi va a fare la proposta alla Direzione di Stabilimento. Data l’importanza della richiesta…………
Finco Marzio, quello del reparto Continuo Tessile, lo interruppe:
> Che bisogno c’è di andare in Direzione: non c’è qui con noi il Direttore?
> Qui non c’è nessun Direttore < disse il dr Perone; > qui io sono solo il Presidente dei Veterani.
> Esatto. Dunque < fese Sindaco, continuando > io direi che, data l’importanza della cosa dovrebbe essere il Consiglio al completo a presentare la proposta. Vi pare?
Vide attorno a lui più di uno sguardo incerto.
> Del Consiglio fa parte anche il Presidente < osservò infine la Gaslini, con imbarazzo.
> Naturalmente < rispose; > anzi mi pare che tocchi proprio al Presidente di parlare al Direttore a nome del Consiglio.
Seguì un silenzio di tomba , e ci furono molte bocche che rimasero aperte: ed era un bellissimo vedere . Poi Bronzi rise: e rise prima in sordina, quasi trattenendosi , e poi più forte e infine senza ritegno , come uno che non ne può più. Era una risata colossale, travolgente, irresistibile.
> Uah! Uah! Uah! Uah! liih < gorgogliava Bronzi, mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi per il gran ridere > Uah! Uah! Uah!
Mi piacerebbe tanto di vedere !
L’indomani , verso le tredici, il Consiglio era riunito davanti alla porta del Direttore, in attesa: ma erano venuti anche parecchi altri, e non c’era modo di convincerli ad andarsene ; volevano vedere a tutto i costi. C’era nell’aria una straordinaria elettricità , come succede d’estate quando sta per scoppiare il temporale.
Arrivò il dr. Perone, serio in volto, pensieroso:
> Ho paura che faremo un buco nell’acqua < disse; > quello non molla.
> Chi è quello? < – chiese Senatore Gaio.
> Il Direttore < rispose il dr. Perone; > lo conosciamo bene, è un cane maledetto.
I Veterani si guardarono l’un l’altro, e Perego Luigi si pizzicò forte l’orecchio , forse per accertarsi di essere sveglio.
> Bè, vogliamo andare? < chiese il dr. Perone: bussò risolutamente , poi aprì la porta ed entrò: dietro di lui, in fila, tutti gli altri.
La stanza era vuota .
Il dr. Perone si fermò ad una certa distanza dal tavolo del Direttore, ch’era sistemato di fianco alla grande finestra di fondo: diede un’occhiata a noi che stavamo alle spalle, poi si schiarì la voce:
> Come Presidente della Sezione Veterani < cominciò > ho l’incarico di comunicare che nella seduta di ieri si è deciso all’unanimità di chiedere l’assunzione di un operaio disoccupato gravemente bisognoso < e continuò precisando le condizioni del poveretto, la situazione della famiglia e tutto il resto; > noi ci lusinghiamo < concluse > che la Direzione si renderà conto dei motivi che ci hanno indotto a presentare tale richiesta e che vorrà di conseguenza accoglierla benevolmente.
Dai Veterani schierati alle spalle del dr. Perone partì un mormorio di approvazione : allora egli si inoltrò verso il tavolino e sedette sulla poltrona : guardò verso di noi con sguardo accigliato e severo.
> Se ho ben capito, voi chiedete l’assunzione di un disoccupato .
> E’ così < fese Gaslini.
> All’inferno! < disse il Direttore. > Solo degli idioti come voi possono venire a fare una proposta del genere in tempi come questi. Non sapete meglio di me che qui siamo in troppi e che anzi bisogna decidersi a licenziare un sacco di gente? Centinaia di lazzaroni e di fannulloni ci sono qua dentro, gente che non fa un cavolo tutto il giorno e ruba il salario che gli diamo ……
> Ma, signor Direttore…… < tentò di obiettare Marelli.
> Che ma, che ma! Qui non c’è nessun ma. E anche se fossi così cretino da dare ascolto a voi, credete che lo potrei fare? Ho ordini tassativi dalla Sede, e non c’è proprio niente da fare. Perciò discussione chiusa e buona notte a tutti.
Si alzò e venne a mettersi vicino a noi:
> Ho fatto tutto il possibile < sussurrò > ma quello non ne vuol sapere. Dice che ha ordini precisi dalla Direzione Generale.
> Macchè ordini! < fece Romanò Alessandro, che cominciava a diventar rosso > Non sono mica cento da assumere , è uno: per uno nessuno gli può dire niente.
Non è lui il Direttore, qui? Se un Direttore non può nemmeno assumere un operaio, che razza di Direttore è?
> Mi pare che bisognerebbe insistere < incalzò Gaio >, ne va anche del prestigio dell’Associazione. Siamo Veterani per qualcosa o per niente? Se abbiamo sulla gobba più di venti anni di lavoro in questa baracca, avremo pur il diritto di far sentire la nostra voce, no? Non lo ha detto anche MARINOTTI, che è più del Direttore? Il dr. Perone era incerto.
> Tornerò alla carica < disse finalmente, decidendosi. Sì volse verso il tavolo vuoto.
> Sappiamo che ci sono degli ordini, e ci rendiamo conto del perché: ma pensiamo che si possa fare un’eccezione . Qui è l’Associazione Veterani che chiede l’aiuto della Direzione per un’opera dì carità e dì solidarietà verso degli infelici: il Presidente in persona ci ha detto che, per quel che è possibile, noi Veterani non domanderemo mai invano. I Veterani son gente ha lavorato qui per 20, 25, 30 anni ininterrottamente , fedelmente, dando tutto quel che potavano per l’Azienda : ci ha detto proprio lui.il Presidente, che questa fedeltà vale a qualcosa, a stringere tra noi e l’Azienda vincoli diversi da quelli eh corrono tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti. Noi ci sentiamo come figli di questa Azienda, figli per diritto d’affettoe di lunga fedeltà. E quanto i figli chiedono aiuto, nessuna madre può rispondere no.
> Parla bene < mormorò la Gaslìni, cercando di non far vedere che aveva gli occhi lucidi: ma nessuno la guardava, forse perché anche gli altri avevano la stessa preoccupazione .
Il dr. Perone s’avviò al tavolo e sedette: rimase un poco in silenzio, pensieroso, passandosi macchinalmente una mano sul mento in atteggiamento perplesso.
> Quanti figli, avete detto? < chiese infine.
> Quattro figli < disse Marelli.
> E la moglie ammalata < incalzò Ferrarìo.
> E nevica < aggiunse la Gaslìni: > vedete come nevica?
Tutti gli occhi si volsero alla finestra, dietro alla quale la neve continuava a cadere a grandi fiocchi: tutto era bianco e freddo e triste.
> Niente cibo, e niente fuoco per quei bambini < disse piano Gaslìni; > e niente Befana.
Il dr. Perone si alzò.
> Va bene < disse.
Ci vuole almeno una bambola < aveva detto Volpi; > non è una Befana se non c’è almeno una bambola.
C’era stata una lunga discussione : portare una bambola a gente che non ha nemmeno da mangiare, che senso c’è? Volpi non sapeva che cosa rispondere a questa obiezione, e tuttavia sentiva che un senso c’era; era come esprimere un pensiero affettuoso, ma esprimerlo con parole belle, non con quelle che si usavano tutti i giorni. Così s’intestardì , e finì per spuntarla .
> Però la porti tu, la bambola < gli dissero.
Era uno spettacolo da veder: avevano preso una di quelle bambole da pochi soldi che si vendono nei banchetti, con due occhi spaventati e fissi sotto i capelli di stoppa , le braccia e le gambe rigide e dure; non c’era una scatola, né carta per avvolgerla, e Volpi non aveva di certo pensato a procurarsene; così egli andava per la strada piena di pozzanghere e di neve sporca, davanti agli altri, con la bambola in mano: ma si vedeva benissimo che le sue mani non avevano mai tenuto una bambola e non sapevano proprio come tenerla. Dietro a lui venivano tutti quelli del Consiglio, e qualche altro che si era aggregato: avevano dei pacchi in mano, perché ciascuno, di nascosto dagli altri, aveva pensato il suo dono: c’era chi s’era provvisto di qualcosa da mangiare, chi di un vestitino smesso , chi dei un po’ di legna, chi di una bottiglia di vino: i doni che può fare la povera gente.
All’ultimo momento s’era visto arrivare anche il dr. Perone, col suo solito sorrisetto ironico sulle labbra :
> Vecchi macachi < aveva detto > voglio proprio vedere come ve la cavate a far da Befana.
Bussarono alla porta, e venne ad aprire un ragazzetto: aveva un musetto sbiadito e pallido, con dentro due grandi occhi scuri, troppo profondi e seri per la sua età: portava indosso una specie di maglia da ciclista pescata chi sa dove, che certo non era stata fatta per lui perché gli arrivava fino ai ginocchi: le maniche poi gli coprivano tutte due le mani, e meno male perché in tal modo riusciva a ripararle abbastanza bene dal freddo .
Entrarono nella stanza , che era la cucina: ma siccome c’era un’altra stanza solamente in tutta la baracca e la famiglia era grossa, così anche la cucina serviva da dormitorio e si vedevano due pagliericci per terra, con sopra una coperta militare. C’era anche una tavola addossata al muro, e un paio di sedie zoppe.
Al centro della stanza c’era l’uomo, e teneva in braccio il bambino più piccolo mentre le altre due bimbette stavano vicino a lui, per terra: egli osservava con uno sguardo un po’ diffidente quelli che erano entrati, finchè s’accorse di Marelli: gli rivolse un saluto con un cenno del capo, e attese che qualcuno parlasse.
Marelli e gli altri erano imbarazzati : anche Marelli, che pure era entrato più volte in quella stanza e conosceva bene i suoi vicini. La miseri ha un suo pudore, ed anche la carità ne ha uno: fra due pudori egualmente schivi è difficile che s’inizi una conversazione. Così tutti tacevano , e Volpi rimaneva in mezzo alla stanza con la sua bambola in mano.
Fu una delle bimbe accoccolate per terra a rompere il ghiaccio: perché i suoi occhi scorsero appunto la bambola, e ne rimase affascinata ; essa si alzò e si avvicinò a Volpi, sempre guardando quella bambola.
> E’ bella < disse.
Volpi guardò la bambina , che era piccola e macilenta: nel visino volto all’insù gli parve che gli occhi fossero come due grandi luci appena velate. Senza parlare.allungò la bambola verso la bambina: ma essa non comprese.
> E’ molto bella < ripetè > ci giochi tu? <
> lo? < Volpi era interdetto > No, oh no. L’ho portata per te. > E’ tua <
I grandi occhi lo guardarono , increduli, poi si chiusero un attimo: quando si riaprirono erano stranamente velati di dolore, il dolore che essa avrebbe provato se quelle parole incredibili non fossero state che un sogno ed il sogno dovesse rompersi tra qualche attimo.
> E’ mia? < chiese. Volpi accennò di sì con la testa.
La bimba prese la bambola dalla mano callosa di Volpi, tutta segnata dai nodi delle vene: la prese, e la tenne tra le sue piccole mani, fissandola . Poi se la portò al petto e chinò la testa bionda, finchè la guancia si appoggiò con gesto di soave tenerezza sulla gialla parrucca stopposa .
Volpi si scosse: parlò, ma la sua voce era roca:
> Che aspettate? Fuori la roba < disse.
Gli altri si mossero e cominciarono ad aprire i loro pacchetti, frettolosamente ; all’imbarazzo di prima era subentrata una grande eccitazione, una specie di fervida allegrezza . Uno riuscì a trovare due bicchieri e li riempì di vino, un paio si inginocchiarono accanto al camino ed accesero il fuoco , altri cominciarono a tirar fuori il pane e le provviste: tutti parlavano , e sembravano diventati improvvisamente più giovani. Solo l’uomo era rimasto in silenzio, in mezzo alla stanza, e guardava.
Il dr. Perone prese i due bicchieri di vino e ne porse uno all’uomo:
> Salute < disse
> Salute < rispose l’uomo.
Bevvero entrambi, finchè dalla stanza accanto venne un rumore di tosse: una tosse secca , insistente , faticosa .
L’uomo si fermò col bicchiere in mano, volse la testa verso la porta chiusa, stette in ascolto finchè l’accesso ebbe termine: sembrava che ascoltasse con tutti i sensi tesi, per cogliere in quella tosse qualche cosa che lui solo conosceva . Qualcosa che gli faceva paura.
> Sei disoccupato? < disse alla fine il dr. Perone. L’uomo accennò di sì.
> Sei uno di quelli che non hanno voglia di lavorare < disse il dr. Perone.
> Nessuno ha lavoro per me < disse l’uomo > né qui né altrove.
> Sei stato alla SNIA?
> Per far che? Non prendono nessuno. Tutte le porte sono chiuse per me uno che ha quattro figli.
> Sei un bugiardo < disse il dr. Perone: > un maledetto bugiardo, ecco quello che sei. Se vai alla SNIA, ti prendono:
> No < disse l’uomo amaramente > è inutile. Lo dite per farmi coraggio.
> Coraggio un corno! Vuoi saperne più di me, che sono il Direttore?
Il bicchiere di vino tremò nella mano dell’uomo: egli dovette appoggiarlo sulla tavola.
> Siete venuto per dirmi questo?
> lo? Non sono mica matto! Ma quelli là son matti davvero : son loro che hanno combinato questa idiozia!
S’udì ancora quell’accesso convulso di prim, ma più forte: perché nel frattempo la porta della stanza accanto s’era aperta, ed ·una donna stava appoggiata allo stipite premendosi un fazzoletto sulla bocca. Era una donna ancora giovane, ma con un volto pallidissimo e due grandi occhiaie livide e scure: sopra le guance scavate gli occhi brillavano di una luce febbrile.
La donna avanzò verso la parete nuda e segnata dall’umido, dov’era appesa un’immagine della Vergine: sotto l’immagine stava un’ampollina appoggiata su una rozza assicella di legno: la donna s’appresso al camino, si chinò a raccogliere uno stecco acceso, e con quello attraversò la stanza fino alla parete, tra gli uomini che le facevano ala in silenzio.
S’alzo sulle punte dei piedi, passò lo stecco sopra l’ampolla , finchè dal lucignolo nacque una piccola fiamma fumosa. A quella fioca luce l’immagine dell’Addolorata parve sorridere, al di sopra delle spade che le entravano nel cuore.
Vecchi idioti < disse il dr. Perone, quando furono fuori > Vecchi perfetti idioti.
SNIA Viscosa Varedo